Santo Curato d’Ars: il prete che nessuno voleva

Il prete che nessuno voleva

Di Giovanni Maria Vianney, passato alla storia con il titolo di Santo Curato d’Ars, è stato detto che divenne sacerdote solo per volontà divina, nonostante tutti fossero contrari. Aveva trascorso l’infanzia e la giovinezza tra i campi e dietro il bestiame, a recitare rosari in ginocchio sui prati e ad adorare il Santissimo nelle chiesette di campagna. Aveva imparato a leggere a 17 anni, studiando in una canonica, sotto la guida di un prete. Ed era entrato in seminario a 26 anni, riuscendo a mettere in crisi l’istituzione con la sua ignoranza. I superiori, quando lo incontravano, scuotevano la testa ed, alla fine, lo espulsero sconcertati, con questa motivazione: “La vita sacerdotale non è per lui. Restando qui sprecherebbe il suo e il nostro tempo”. Scriveva e leggeva a fatica, non comprendeva il latino, guardava i libri come a dei nemici, sentendosi umiliato dalla sua incapacità. E lui, da parte sua, rimpiangeva i campi paterni, ammettendo di non riuscire a “cacciare nulla nella testa”. Nessuno poteva immaginare che in quel giovane dalla magrezza spettrale, a motivo della dura vita ascetica, si nascondesse un santo. E che un papa, Pio XI, nel 1929, nel proclamarlo santo, lo avrebbe definito “celeste patrono di tutti i parroci dell’universo”. A quest’uomo incredibile sono state associate le parole del salmo 117: “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”.

Era figlio di contadini che dimoravano nei pressi di Lione. Nato, nel 1786, alla vigilia della Rivoluzione francese, la sua infanzia fu condizionata dalla fede granitica di una famiglia che ospitava i preti che celebravano segretamente la Messa, nei fienili e nelle cantine, per non aver voluto giurare fedeltà alla rivoluzione. I genitori avevano consacrato i loro sei figli alla Madonna, prima ancora della nascita. Sua madre Maria, sospendeva il lavoro ad ogni ora, quando la campana scandiva il tocco, offrendo il suo tempo al Signore con un Ave. Abitudine che Giovanni conserverà per tutta la vita. Egli riconosceva che l’amore per il Signore lo doveva alla mamma: “Un figlio che ha avuto la fortuna di avere una buona madre, non dovrebbe mai guardarla, né pensare a lei, senza commuoversi fino al pianto”. Ci fu solo un’altra persona che credette sempre in lui e fu l’abbé Charles Balley. Gli fece scuola in canonica, con la sua autorità gli ottenne l’ammissione in seminario ad età avanzata e la riammissione dopo l’espulsione. Fu lui ad accompagnarlo per mano verso l’altare, fra mille difficoltà, fino all’ordinazione, avvenuta nel 1815.

Ma quando Giovanni Maria Vianney divenne sacerdote, per la diocesi di Lione si presentò un problema: dove collocare questo giovane prete, timido ed impacciato, tutta santità e niente scienza? C’era a 35 chilometri, a nord di Lione, un villaggio di 230 anime, isolato per la mancanza di strade, abitato da gente primitiva ed indifferente alla religione. Un grumo di case per cui non era opportuno sprecare un prete di valore. Fu così che a 32 anni, Giovanni Maria Vianney si mise in cammino in cerca di Ars, chiedendo ai passanti dove si trovasse. Quando vi giunse e conobbe il suo popolo, non si perse di coraggio ma fece questa preghiera: “Mio Dio, accordatemi la conversione della mia parrocchia. Accetto di soffrire tutto quello che vorrete, per tutto il tempo della mia vita”. E per la conversione della sua gente ce la mise tutta. Ma, all’inizio, non fu facile. La gente lo ignorava ed egli passava la giornata chiuso in chiesa, raccolto in preghiera di fronte al tabernacolo, sotto l’occhio del Signore: “Lui guarda me – diceva – ed io guardo lui”. Per tre volte tentò la fuga, sognando di rifugiarsi in un monastero. Ed ogni volta, il suo piccolo popolo di zotici, che cominciava ad apprezzarlo, lo riacciuffò. La terza volta rientrò in paese a testa bassa, mormorando: “Sono stato un bambino”.

Quello che accadde dopo ha dell’incredibile. La fama del santo curato riempì tutta la Francia e si diffuse oltre i suoi confini. Dopo cinque anni, Ars non si riconosceva. Il villaggio fu trasformato da piccolo centro di contadini materialisti, dediti al vino ed alla bestemmia, in una parrocchia modello di gente che pregava ad ogni tocco di campana. Venne il giorno in cui questo paese divenne il crocevia di masse di pellegrini, provenienti da tutta la Francia e da oltre confine, persino dall’America. Curiosi, persone afflitte da mali di ogni genere affluirono a migliaia. Anche principi e cardinali venivano, in incognita, ad ascoltare le sue omelie e ad accostarsi al confessionale. E qualcuno, tornando a casa, ammetteva: “In quell’uomo, ho visto Dio”.

Le sue armi di conquista furono: un amore ardente per Dio e per le anime; la preghiera; una penitenza spietata; la stima infinita per il sacerdozio; l’istruzione religiosa, realizzata con parola dettata dal cuore; ed infine, una lotta continua, corpo a corpo, contro il principe delle tenebre.

– La penitenza. Giovanni Maria non ebbe mai nessuna pietà per il suo “cadavere”, come egli chiamava il corpo. Si sottoponeva a durissime penitenze, dormendo su un letto senza materasso, in una stanza a pian terreno molto umida, dalla quale contrasse dolorose nevralgie facciali che lo accompagnarono per tutta la vita. Cuoceva patate per una settimana, in una rozza marmitta, rimasta leggendaria, e mangiandole fredde. Di tanto in tanto, faceva cuocere un uovo nella cenere oppure impastava un pugno di farina con acqua e sale. Per convertire i peccatori incalliti, rincarava la dose e ricorreva a giornate di digiuno totale o mangiava erba, come era abituato a fare da giovane. Affermava: “Il demonio fa poco conto dei flagelli e degli altri strumenti di penitenza. Ciò che lo sbaraglia è la privazione nel bere, nel mangiare e nel dormire”.

– La stima per il sacerdozio. Come ha scritto papa Benedetto XVI, il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d’essere un dono immenso per la sua gente. “Oh come il prete è grande! – affermava il santo curato – Se egli si comprendesse, morirebbe … Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia … Dopo Dio, il sacerdote è tutto! … Lui stesso non si capirà bene che in cielo”. Ed aggiungeva: “Come fa bene un prete ad offrirsi in sacrificio a Dio tutte le mattine … La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria”.

– L’istruzione religiosa. Con essa, il santo curato debellò l’ignoranza, lanciando una crociata contro la bestemmia, il lavoro festivo, le osterie e i balli. Ma, il luogo privilegiato in cui egli incontrava la gente fu il confessionale, dove passava anche 18 ore, benché sfinito dalla fatica. Nel confessionale, quest’ometto spettrale, dall’occhio arguto, penetrava nei segreti delle anime, prima che la gente aprisse bocca. Egli mostrava per il peccatore la più tenera compassione ma era spietato verso il peccato. Se non vedeva il pentimento, non assolveva. Anche quando il penitente lo minacciava di andare da un altro confessore. In certi casi, tuonava, spiegando che esiste una santa collera che viene dallo zelo “con cui dobbiamo sostenere gli interessi di Dio”. Giovanni Maria Vianney non aveva nulla di moderno, come la gran parte dei santi. I suoi antidoti al peccato erano quelli tradizionali della Chiesa cattolica: le messe quotidiane, i sacramenti, il catechismo, i vespri, le preghiere, le letture devote, il rosario, le processioni, le benedizioni e le rogazioni, una profonda devozione per le anime del Purgatorio. Ma, a convertire le anime era la sua santità, la sua fede, il suo sconfinato amore per Dio e per gli uomini. Incoraggiava alla comunione frequente, affermando che non tutti quelli che si avvicinano all’altare sono santi, ma i santi sono fra coloro che si comunicano spesso. Egli, tuttavia, non era uno spiritualista disincarnato. La sua carità abbracciava tutto l’uomo. Aprì, ad Ars, una scuola ed un orfanotrofio per ragazze, chiamato “Providence” in cui giunse ad ospitare 60 giovani. E’ noto che, un giorno , il cibo cominciò a scarseggiare. Il curato pregò ed il granaio si riempì. La cosa singolare è che il poco grano vecchio rimasto si distingueva dai chicchi nuovi.

– Le vessazioni diaboliche. Il maligno, che lui chiamava “rampino”, lo pedinò per anni. Ma egli era contento quando il “rampino” lo tormentava perché era sicuro che, il giorno dopo, qualche grande peccatore sarebbe venuto da lui per riconciliarsi con il Signore. Grugniti di orso, latrati di cane, incendi nella casa … Satana rovesciava le sedie, scuoteva i mobili, non gli permetteva di riposare, mentre ripeteva: “Vianney, Vianney! Mangiapatate! Ah! Non sei ancora morto! … Un giorno ti avrò”. Invece, fu Giovanni ad averla vinta. Venne il momento in cui Satana, sconfitto, cessò di molestarlo, riconoscendo che quel prete, con la sua fede e le sue penitenze, gli aveva strappato più anime di tutti. Una volta un indemoniato gli gridò: “Quanto mi fai soffrire … Se sulla terra ci fossero tre persone come te, il mio regno sarebbe distrutto”.

Per comprendere quanto fosse semplice e genuina, diretta e comprensibile per la gente la spiritualità del Santo Curato, basta leggere un brano del suo Catechismo: “Pregare ed amare. Questa è la felicità dell’uomo sulla terra. La preghiera nient’altro è che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, è preso da una certa soavità e dolcezza che inebria, è purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. La preghiera non ci lascia mai senza dolcezza. E’ miele che stilla nell’anima e fa che tutto sia dolce. Nella preghiera ben fatta i dolori si sciolgono come neve al sole”.

San Giovanni Maria Vianney morì consunto dalla fatica del confessionale, come padre Pio e come padre Leopoldo Mandic. Spirò sfinito, senza agonia, il 4 agosto 1859, alle 2 di notte, a 73 anni, mentre le campane di tutta la regione rintoccavano a lutto. File interminabili di fedeli resero omaggio alla sua salma per dieci giorni e dieci notti. Pio XI lo proclama santo nel 1925. E’ il primo parroco ad essere canonizzato. Il suo cuore, incorrotto, è oggi custodito nel Santuario di Ars, dentro una teca di bronzo argentato, donata dai fedeli di Roma. Nel 1959, centenario della morte, Giovanni XXIII gli ha dedicato l’enciclica “Sacerdotii nostri primordia” (Modello del nostro sacerdozio).

Luciano Verdone

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Pubblicato da Daniele Logoluso

Blogger, Musicista, Direttore di Spirito di Verità TV

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